Tarquinia (VT), 1 febbraio 1939.
Ha affinato le naturali doti frequentando un noto pittore della terra natale, ma è da considerarsi autodidatta.
Dopo varie città frequentate, nel 1967 si è trasferito a Brescia dove si è occupato presso un Istituto di credito. Ciò non di meno ha svolto notevole attività, partecipando anche a numerosi concorsi provinciali, in non pochi dei quali si è affermato. Fra gli altri si citano i premi vinti a Villanuova, S. Felice del Benaco, Prevalle, Gardone V. T.
Sue personali si ricordano a Brescia (1974, 1978); Verona (1975); Capriolo (1978).
Dapprima, sulle orme del maestro, è stato paesaggista: e di quel periodo restano saggi dedicati alla campagna, ai paesi d’origine in cui sul biancore delle antiche case, dei borghi, incombe cielo d’un terso ma greve azzurro; dei paesi visitati nella provincia nostra ha colto rustici, angoli apportati, campi fioriti e irraggiati da tepido sole: motivi testimonianti una ricerca di schematicità riassuntiva e silente.
Quella essenzialità e quei silenzi, fatti di tonalità sommesse ed effuse, che caratterizzano le figure a cui Di Bartolmei dedica oggi prevalente attenzione. Sono bambini, donne, gruppi famigliari colti in consuete scene di vita quotidiana. La presenza umana colma gli ambienti in cui aleggia una sorta di incantamento carezzevole. “Una ventata di fiducia” che suggerisce solo il desiderio “di ritrovarsi mi-gliori, puri come lo sguardo d’un fanciullo”.
Di Bartolomei è autore di numerosi disegni dedicati alla “Architettura spontanea” della Valtenesi, editi nel 1975 dalla Grafo, con testo introduttivo di Luciano Spiazzi.
Nonostante la presentazione di sue opere a note Gallerie di Brescia e Verona, allo scadere degli anni Settanta Mauro Di Bartolomei ha smesso di proporsi a manifestazioni varie, ha però continuato a dipingere per proprio appagamento.
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F. FERLENGA, “Galleria Valiccalepio”, Capriolo, 8-21 febbraio 1978. (Riproduce precedente presentazione).
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Roma, 3 agosto 1940.
Ha frequentato, conseguendo il diploma, i corsi del Centro italiano addestramento cinematografico (CIAC) di Roma; per un anno (1957) ha frequentato la Scuola libera di nudo della Capitale.
Quale illustratore ha realizzato numerosi lavori per importanti case cinematografiche americane. Trasferitosi a Brescia nel 1964, da allora vi risiede, partecipando con assiduità a collettive provin-ciali, a Milano e a Bergamo.
Nel 1971 ha allestito la sua prima mostra personale, seguita da numerose altre a Brescia, Bergamo, Verona, Sarezzo, Desenzano: coi ritmo riflesso nella allegata bibliografia.
Pittura legata alla tradizione, frutto di tecnica accurata, minuziosa, è rivolta a molteplici aspetti della vita: visioni di ippodromi affollati e cavalli tesi nella corsa, paesaggi della nostra provincia e di località visitate durante soggiorni in Inghilterra, scorci di rioni popolari con i personaggi in essi operosi; e figure di giovani donne, pagliacci… aspetti tutti, gioiosi o mesti, tradotti in chiave lirica con capacità di penetrazione e serietà di intenti.
Sue opere sono sparse in numerose abitazioni; un Ritratto di Papa Giovanni XXIII è alla Pinacoteca Giovannea di Baccanello a Calusco d’Adda, presso Bergamo.
Se la sopraggiunta maturità non ha distolto Di Marko dal ritrarre soggetti prediletti, il modo di trasporli sulla tela muove pennellate più morbide e maggiormente riassuntive, con esiti di apprezzabile morbidezza delle visioni naturali sulle quali si stagliano vivaci figure e figurette di estrema evidenza plastica.
Le cromie di spazi lagunari, poi, si stemperano nell’effusa atmosfera penetrante le masse degli edi-fici monumentali, lo scintillio delle acque correnti nei canali….
Si rileva che le numerose mostre personali allestite da Di Marko negli ultimi decenni, con prevalenza in Gallerie cittadine, sono accompagnate da semplici pieghevoli riccamente illustrati, ma privi di testi critici, salvo alcune brevi riproposizioni.
BIBLIOGRAFIA.
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L. LAZZARI, Di Marco alla Locatelli, “L’Eco di Bergamo”, 13 gennaio 1973.
“Galleria Il salotto”, Verona, 21 aprile - 3 maggio 1973.
“Galleria Brescianini”, Sarezzo, 2 - 17 febbraio 1974.
“Galleria S. Luca”, Desenzano, 1 - 21 giugno 1974.
“Galleria S. Gaspare”, Brescia, 6 - 18 dicembre 1975.
L. SPIAZZI, Arte in città, “Bresciaoggi”, 13 dicembre 1975.
“Brescia - club”, 20 dicembre 1975.
m. c., “Galleria A.A.B.”, Brescia, 30 ottobre - 11 novembre 1976.
“Galleria A.A.B.”, Brescia, 5 - 17 novembre 1977.
“Galleria Locatelli”, Brescia, 1 - 15 dicembre 1978.
“Galleria S. Caspare”, Brescia, 27 gennaio - 8 febbraio 1979.
O. ZAGLIO, “Galleria Vittoria”, Brescia, 6-11 ottobre 1979.
O. ZAGLIO, “Galleria Vittoria”, Brescia, 1-13 novembre 1980.
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R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
PICCOLA GALLERIA UCAI, Brescia, “Enrico Di Marko”, 20 febbraio - 2 marzo 1988.
STUDIO DE CLEMENTE, Brescia, “Enrico Di Marko”, 4-17 marzo 1995.
BOTTEGA DELLE INCISIONI (M. Giovanelli), Magno di Gardone V.T., “4ª festa di prima-vera. Personale del pittore Enrico Di Marko”, 1996.
PICCOLA GALLERIA UCAI, Brescia, “Enrico Di Marko”, 15 - 27 novembre 1997.
R. LONATI, Di Marko e la folla formicolante tra le strade del centro, “STILE Arte” n. 49, gennaio 2001.
ASSOCIAZIONE ARTISTI MARTINO DOLCI, Brescia, “Presenta 8 artisti a Ferrara”, Galleria d’arte Rivellino, 8-21 giugno 2002.
ASSOCIAZIONE ARTISTI MARTINO DOLCI, Brescia, “Enrico Di Marko”, 5-17 ottobre 2002.
PICCOLA GALLERIA UCAI, Brescia, “Enrico Di Marko”, 22 novembre - 4 dicembre 2003.
GALLERIA LA CORNICE, Desenzano, “Enrico Di Marko”, 13 - 30 maggio 2004.
PICCOLA GALLERIA UCAI, Brescia, “Enrico Di Marko”, 10 - 22 dicembre 2005.
Brescia, 15 settembre 1907 - 26 luglio 1952.
Formatosi nell’ambiente artistico cittadino, giovanissimo ottiene riconoscimento che l’Ateneo civico riserva agli artisti bresciani più promettenti; vince anche numerosi concorsi provinciali.
Partecipa, e si afferma, a premi regionali imponendosi alla attenzione di critici, meritando la fiducia di numerosi collezionisti.
L’attività pittorica, espressa anche nell’affresco, è svolta con impegno esclusivo e solo per garantire tranquillità alla famiglia amatissima si diploma a Brera, per insegnare in scuole statali.
La pittura di Antonio Di Prata, dapprima rivolta agli oggetti più umili, ai piccoli fiori di campo, alla famiglia che sa muovere commossa trepidazione, ancor oggi evidente nelle tele dedicate alla sposa, ai figli, ai congiunti più cari, procede quindi verso gli aspetti molteplici della natura, s’estende al cospetto di vaste visioni solenni, suscitatrici di risonanze profonde.
Come nei paesaggi alla iniziale solidità delle case, degli alberi, delle terre riarse, dei profili rocciosi resi nitidamente con colori squillanti subentra la ricerca di emozioni rivissute attraverso l’amorevole contemplazione della natura, così nei ritratti la corposità statuaria dei personaggi cede alla loro pe-netrazione spirituale.
Il tono mistico di alcune tele è raggiunto attraverso pochi colori smorzati, tenuamente posati; e l’evidente, appassionato studio degli impressionasti, dei macchiaioli, il sontuoso colore dei veneti che per alcuni può sembrare un limite, rappresentano soltanto riferimenti formali, perché l’amore struggente all’arte e la innata sensibilità dell’artista, troppo prematuramente scomparso, hanno saputo donarci opere che testimoniano la nobiltà dell’animo suo, con l’evidente umano calore.
Quale insegnante, Antonio Di Prata aveva intrapreso la compilazione di un libro (ancora inedito) che educhi al disegno i giovani allievi, e aveva prestato la sua disinteressata opera in seno alla Associazione artisti della città. Dotato di buona voce, fu capocoro del teatro Grande.
Fra le sue opere in affresco si ricorda la decorazione eseguita nella chiesa di Mariana Mantovana.
Dopo la scomparsa, la figura e l’opera di Antonio Di Prata sono state inesorabilmente avvolte da un velo di dimenticanza, nonostante il suo nome sia apparso in alcune pubblicazioni. Solo pochi appassionati ne hanno conservato memoria, e con essa rari dipinti.
Non a torto titola “Antonio Di Prata, il pittore dimenticato” il catalogo edito in occasione della Mostra antologica voluta dagli eredi, in particolare dai figli Mariuccia, Giordano e dal genero Bruno Carnevali, ordinata nella Galleria d’arte “Lo Spazio” nell’ottobre 2004. La cura della rassegna e del catalogo è stata affidata a Giannetto Valzelli, appassionato interprete, che a distanza di mezzo secolo vede la pittura di Di Prata riapparire gioiosamente integra, distinta, affascinante.
La riscoperta di Antonio Di Prata “pittore dimenticato”, ha rappresentato notevole evento per Brescia, motivo di sorpresa per molti concittadini, così da rappresentare, mediante il singolo, occasione per richiamare i fermenti di un’epoca.
Si rileva che negli Apparati il catalogo non propone la Bibliografia completa, bensì una “Antologia” critica che rende ancora utile la nota proposta nella prima edizione del “Dizionario”.
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Brescia, 8 settembre 1912. Vive e opera a Brescia.
Fratello del pittore Oscar, ansioso di apprendere dalla vita l'esperienza giovevole alla sua arte, interrompe gli studi e, ancor giovane, affronta lunghi viaggi attraverso vari stati europei. Per alcuni anni vive a Parigi e visita la Francia; a Parigi e a Marsiglia avvicina la gente duramente provata: dalla violenza, da situazioni drammatiche testimoniate negli appunti tracciati su numerosi taccuini.
Si trasferisce quindi in Belgio, in Svizzera, a Zurigo dove soggiorna lungamente.
È ormai concluso il secondo conflitto mondiale quando fa ritorno a Brescia ove apre studio e assiduamente compone opere in marmo e in terracotta. Il suo nome, quindi, diviene familiare anche a molti bresciani. Partecipa, meritando segnalazioni e premi, a concorsi nazionali indetti per abbellire con opere artistiche edifici pubblici di Parma (1960), Modena (1962), mentre composizioni sacre raggiungono' chiese in Milano, Roma, Como, Brescia e nella Città del Vaticano. Altre sono accolte in collezioni private e pubbliche, fra le quali val citare la Galleria d'arte moderna della nostra città. Dal 1966 sue formelle in terracotta raffiguranti l'Annunciazione, la Crocifissione, la Discesa dello Spirito Santo e la Nascita di Gesù adornano le quattrocentesche mura del Santuario, dedicato alla Vergine, a Monticelli Brusati; sue sono pure le figure inserite nel monumento ai Caduti di Concesio eretto nel grande piazzale Paolo VI e inaugura-to il 27 ottobre 1974. All'inizio di questo anno sue opere figurano alla mostra "Scultura a Brescia" dedicata ai più significativi plastici locali e posta sotto il patrocinio dell' Assessorato alla cultura della Regione Lombardia.
Accanto alle varie collettive, fra le quali citiamo quelle in Bergamo (1965), Milano e Cremona (1969), sono da ricordare le mostre personali bresciane degli anni 1960,61, 63,64,68,69 e 1972 che meglio descrivono l'evolversi creativo di Olves Di Prata. Dapprima impegnato nella ricerca di espressioni "che sembrano volte a un atteggia-mento espressionistico, quando il soggetto soleva chiudersi entro un groviglio di materia", ricorda O. L. Passarella, da quella visione l'artista è andato via via svincolandosi, chiarendo la forma delle sue figure, dei gruppi composti nella eco di classici del passato; le terrecotte, le ceramiche, anche policrome, a tutto tondo o a forte sbalzo, assumono poi impronta più personale nella impostazione meno definita, ma forse più intimamente sentita.
Sono indicative di questo operare Maschera dolente, Composizione di figure, le Pietà fatte conoscere sul finire del 1964.
Affronta poi con sempre più assiduo impegno la pietra, il bronzo con i quali -com'egli stesso chiarisce - intende esternare con coerenza e slancio immagini di vita, presenze attuali ... voci concitate d'ogni giorno.
Le sue figure stilizzate, filiformi a volte, i suoi blocchi non immemori di Henry Moore testimoniano la lancinante inquietudine in cui l'umanità si dibatte. Uno sforzo, emerge, di fissare la drammatica lotta tra forze creatrici e disgregatrici che condiziona tutto il nostro futuro. Ultima personale a noi nota è quella allestita alla "Galleria il Vertice" di Milano (1970).
Da alcuni anni Olves Di Prata sembra aver disertato l'apparente palcoscenico delle gallerie d'arte: un silenzio che sottolinea la sua natura schiva, a causa della quale ancor oggi non è noto come meriterebbe.
Olves Di Prata è stato prevalentemente scultore e per questa attività ha acquisito notevole notorietà.
Tuttavia, di lui rimangono pure numerose tele che lo accreditano valente pittore.
La sua è una pittura dai vividi colori evocanti i Fauves o i post-impressionisti: un’ascendenza acqui-sita durante il giovanile soggiorno francese.
Il suo impasto cromatico è denso, il blu, il verde, il giallo sono giocati nelle diverse gradazioni ed “emergono come una forza determinata in meditatissime composizioni che paiono estemporanee e perfino casuali”, ma concepite con meditata precisione.
Tutto deriva da un armonioso accordo fra toni pieni, costruttivi da un disegno marcato e conciso, così che le sue forme racchiudono una contingenza equilibrata, salda, fortemente colorita.
Sono così composti particolari, ravvicinati, di case affiancate a strade solitarie, fabbriche dalle caratteristiche coperture a cupola, emergenti da fondali cupi, notturni, tanto da apparire ruderi dissepolti, riconquistati alla vita. Un aspetto, quello di Olves Di Prata pittore, tutto da scoprire e valorizzare.
BIBLIOGRAFIA
G. POLONI (a cura di), “Olves”, Travagliato, Lumini, 1997.
O. DI PRATA, Olves Di Prata, mio fratello, “STILE Arte” n. 64, settembre 2002.
Brescia, 10 agosto 1910 - 5 gennaio 2006.
Ha studiato a Venezia presso l’Istituto d’arte, conseguendo il diploma di Magistero. Giovanissimo, fin dal 1928 prende parte a manifestazioni sindacali in città, riscuotendo segnalazioni di noti critici quali Pietro Feroldi. Espone altresì in collettive organizzate dalla ben nota Galleria di volto Paganora. Nel 1935 consegue il premio Magnocavallo dell’Ateneo civico, seguito da altro premio nel concorso delle tre città: Brescia, Verona, Trento. Intraprende al tempo stesso partecipazioni a rassegne nazionali quali la Quadriennale romana. Del 1936 è l’assegnazione del premio Gaetano Cresseri, a cui segue la nota di Carlo Carrà in “L’Ambrosiano” per una presenza in mostra milanese; seguono, la partecipazione alla sindacale lombarda, presenze varie in esposizioni bresciane e regionali.
Dal 1941 al 1945 è inviato dapprima in Africa settentrionale dove partecipa ad azioni di guerra, pri-gioniero poi, è inviato in campi di concentramento in India.
A conflitto concluso segue un periodo di riflessione. Suoi disegni rammemoranti i luoghi della guerra e della prigionia compaiono saltuariamente in giornali locali; solo nel 1947 suoi dipinti sono allineati nella “Bottega d’arte”, in Brescia.
Riprende alfine la assidua partecipazione a mostre: sia con gli Indipendenti, sia in Episcopio, sia fuori città, nel gruppo dei bresciani: a Milano, Novara, Bergamo, S. Remo, dove nel 1948 gli è assegnato il primo premio. Del 1949 è invece l’affermazione a Chiari. Alternate a queste presenze, sempre più fitte e importanti le mostre personali, la cui cronologia si può ricomporre attraverso l’allegata bibliografia.
Il premio Rovato (1952), le affermazioni alle Biennali d’arte sacra all’Angelicum di Milano, l’invito alle Esposizioni d’arte sacra a Roma sono l’avvio a partecipazioni a rassegne internazionali con selezionati gruppi di artisti italiani. In patria, altre affermazioni merita in occasione dei Premi: Brescia, La Spezia, Suzzara, Ardesio, Salò, Gardone R., Cagliari (1965). Care al pittore, la personale di Torino (1960), la presenza a Beyrut, l’affermazione al premio Giovanni Fattori (1965).
Viaggia sovente, partecipa a incontri culturali, dibattiti, mostre sia a New York che a Mosca. Espone alla “Galleria Tardy”, in Euschede (Olanda).
Oltre all’attività pittorica di cavalletto, Di Prata svolge notevole opera di affreschista: numerose le chiese bresciane e della provincia che recano le cromie del suo pennello e i riflessi delle vetrate da lui ideate.
Fra i tanti sacri edifici adornati si possono ricordare: la chiesa di S. Giorgio del villaggio Gnutti in Lumezzane (1955), la parrocchiale dedicata a S. Sebastiano, sempre a Lumezzane (1955), la chiesa di S. Maria della Vittoria, in città (1962), la chiesa di S. Giacinto al quartiere Lamarmora (1962), la chiesa di S. Maria Assunta a Rovato (1963), la parrocchiale dedicata a S. Elisabetta a Bagnolo (1970), la chiesa di S. Maria Immacolata (Pavoniana, 1971-72), la chiesa dell’Ospedale civile che, benedetta nel 1955, attende ora l’ultimo ornamento, sull’ingresso, già ideato dal pittore.
Ma quant’altre sarebbero da ricordare, come da citare il pannello decorativo per la Scuola elemen-tare Rinaldini a memoria della Resistenza.
Accanto alla attività di docente svolta in scuole medie, prende corpo quella di pubblicista che lo ve-de collaboratore di numerose riviste e quotidiani locali.
Dapprima affine a l’opera di maestri del primo Novecento, ma con più vivaci accensioni, la pittura di Di Prata ha perso quel carattere intimo per aprirsi a visioni più vaste, “grandiose” che “sembrano ispirate ad argomenti biblici e cristiani”. Ma la realtà filtrata dal pittore assume via via diversi aspetti o emblemi: dalle scimmie al ricordo di Agadir, ecc., opere tutte in cui la tragicità dell’assunto o dell’evento ispiratore è trasposta in armonie tonali racchiudenti l’angoscia esistenziale.
Quanto detto non può che rappresentare una successione incompleta di episodi che il tempo si prodigherà a portare a compimento.
Quanto ora si evidenzia è che Di Prata “ha fatto sempre affiorare il nucleo morale dell’immagine, ora in un esempio di alta oratoria a raccontare come la storia naufraghi nel dramma personale, ora in una pratica di urgente composizione a salvare dalla rovina fatale del tempo figure sbocconcellate e frammenti di paesaggio. Le figure impresse nella materia come in una molle matrice figurata dalla luce… la forma sciolta drammaticamente fino a una concentrazione raggrumata mossa da un ge-stualismo conflittuale”.
Anche il complesso delle opere decorative impostato sulla medesima “matrice”, animato da profonda riflessione religiosa si è via via ampliato: per la sola città sono già state rilevate le tante chiese nelle quali l’artista ha innalzato i ponteggi. Ripercorrere quell’itinerario di fede equivale a porre Di Prata fra gli interpreti della grande decorazione bresciana tra Ottocento e Novecento. Decorazione interpretata non solo attraverso l’affresco, ma anche con l’ideazione di mosaici, vetrate policrome.
Per gli esiti della creatività di Di Prata v’è chi ha intrapreso un “processo di storicizzazione”, impresa ardua perché quanto prodotto dal pittore è frutto di inesausta applicazione, protratta per di più in un lungo tempo.
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Provezze, 15 aprile 1842 - Pisa, 7 marzo 1877.
Nel 1859, a soli 17 anni, si arruola nell’esercito sardo. Nel 1860 entra nell’Accademia militare di lvrea dove esce sottotenente. Combattente nel 1866 e in seguito impegnato contro il brigantaggio meridionale, si avvicinò alla pittura sotto la guida di Faustino Joli e all’arte si dedicò nei momenti liberi dagli impegni della carriera militare.
Molto apprezzato un suo dipinto dedicato alla Battaglia di Solferino e dall’autore donato a re Vittorio Emanuele II in ringraziamento per la nomina a cavaliere.
Abbandonato nel 1872 l’esercito, poté dedicarsi interamente all’arte, partecipando a esposizioni. Per nomina governativa fu professore dell’Accademia di Modena. Ammalatosi, si trasferì a Pisa cercando sollievo ad un male che lo condusse precocemente a morte: gli sopravvissero la moglie e due figli.
Preferì composizioni di carattere storico e ricche di figure. Trattò il colore con abilità tecnica e alle sue tele seppe dare buon risalto con sapienti giochi di luce e d’ombra. Da segnalare che il figlio Antonio è buon pittore.
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Secolo XVIII.
È autore delle statue della Carità e della Fortezza per l'altare di S. Giovanni Nepumoceno della chiesa dei SS. Nazaro e Celso: opere un tempo ritenute di Antonio Callegari e che dicono l'autore assai modesto artefice.