1876 - 1930.
Associazione fondata da Carlo Manziana, dall’avv. Gaetano Fornasini e dai pittori Rovetta e Bertolotti nel 1876 e ai quali si unirono ben presto Arnaldo Soldini, Gaetano Cresseri e Arnaldo Zuccari. In seguito, questo sodalizio riunì pressoché tutti gli artisti bresciani operosi negli anni a cavaliere del secolo scorso e del nostro: da Modesto Faustini a Filippini, da Luigi Campini a Schermini, a Roberto Venturi, Castelli, Lombardi, Glisenti, Franciosi, Barbieri, Ronchi, Bettinelli, su su fino agli esponenti di generazioni più vicine: Vittorio Trainini, Galanti, Fiessi, Firmo, i fratelli Mozzoni... e accanto ai pittori numerosi gli scultori che ebbero battesimo artistico in occasione di esposizioni sociali. L’attività è dapprima limitata ad allestire annuali mostre, susseguitesi nei palazzi Bocca, Bargnani, Martinengo, il teatro Grande, ma poi i soci si sono impegnati anche di fronte a eventi quali il terremoto di Sicilia, il primo conflitto mondiale, in manifestazioni commemorative a carattere nazionale, nelle Esposizioni bresciane… per alleviare sofferenze, con la competenza e attività a dar decoro alla nostra città e a dar esempio di generosità. Nel 1890 il re onora la Società presenziando alla inaugurazione d’una esposizione ordinata a palazzo Bocca di via Carlo Alberto. L’influenza dell’Arte in famiglia, attraverso vari aderenti, si riflette nei vari settori culturali della città: dai Consigli comunale e provinciale alla Scuola Moretto, alla Pinacoteca o nella Società per la tutela dei monumenti. La conoscenza e l’amicizia fra quanti prediligono la cultura si approfondiscono in occasione di indimenticabili cenacoli nella casa di Pietro Guidetti a Borgosatollo, nella villa Conti-Locatelli alla Bornata, nella quattrocentesca dimora del sen. Ugo Da Como a Lonato o nella trattoria di Enrico Invernici dilettante pittore e oste (v.). Carlo Manziana è l’animatore di ogni iniziativa, entusiasta gli è a fianco Francesco Rovetta. La loro dedizione “aveva risvegliato tra noi la passione per l’arte, che pareva illanguidita colla scomparsa dei Tosio e dei Brozzoni”.
Solo con la scomparsa di Manziana, nel 1925, anche la vita della Società dell’Arte in famiglia si affievolisce, fino ad esaurirsi nel 1930.
BIBLIOGRAFIA
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
Ferrara, 7 agosto 1931.
Residente nella nostra città da circa tre lustri, è pittore, grafico oltre che ceramista di professione. Ed è forse da attribuire a quest'ultima attività, con la quale compone figurette caratteristiche e soprammobili, che lo ha portato ad operare per qualche tempo a Milano, l'affermarsi del plastico autodidatta. Anche se Arvieri ama definirsi dilettante, l'impegno con il quale fin da ragazzo ha affrontato il disegno, l'osservazione del mondo contadino in cui è cresciuto "l'attenzione alla vita ed ai problemi quotidiani" hanno contribuito a rendere le sue mani capaci di imprimere nella creta "l'esperienza ed i sentimenti del quotidiano, dell'immanente macinati con caparbietà giorno dopo giorno, filtrati e selezionati fino alla certezza di essere se stessi". Nascono così figure consuete di un tempo che va spegnendosi, contadini, raccoglitrici di canapa, operai: uomini e donne portatori di antiche attività, di umili faccende e l'espressione di dolci sentimenti, come in Maternità.
Accanto ai protagonisti di una realtà che gli è consueta, Arvieri pone il frutto della attenta partecipazione a più gravi eventi: si vedano le opere dedicate ai deportati nei lager, ai terremotati, alle vittime di piazza della Loggia in cui emerge il plastico dal temperamento drammatico. Indicativo di questo suo operare è anche Il fucilato, accolto nel Museo del Risorgimento e della Resistenza di Ferrara.
Presente ad alcune collettive in Brescia e provincia, in alcune rassegne ferraresi, Umberto Arvieri si è particolarmente distinto alla mostra "Omaggio al lavoro" ordinata in palazzo Broletto nel settembre 1978: rassegna che, accanto alle opere dei più noti artefici bresciani, annoverava altre di Remo Brindisi, Guerreschi, Plescan, Reggiani, Treccani e così via.
Una personale ha allestito alla "Galleria A. Inganni" nel 1978. L'attenzione di Arvieri per la figura umana è testimoniata anche da vari ritratti e autoritratti nei quali la ricerca fisionomica non frena il tocco mosso e costruttivo, la resa di un'attenta indagine introspettiva.
24 maggio 1945
Fondata il 24 maggio 1945 si chiamò dapprima Arte e cultura, assumendo poi il titolo attuale. Presiedettero la prima riunione lo scultore Giovanni Asti, l’ing. Crespi, il dott. Enrico Roselli, che procurò la sede di via Gramsci.
Presenti fra gli altri gli scultori Mario Gatti, Claudio Botta, Ciffrido Mondinelli, i pittori Marelli, Rava, Marengoni, Mozzoni, Galanti, Degl’lnnocenti, Rizzi ecc., e il maestro Vincenzo Pini. Lo statuto, redatto da una commissione composta da Giovanni Asti, Aride Corbellini, Furia Tempini, fu approvato il 2 giugno 1945. Vi aderirono fra i primi: Fiessi, Ragni, Muchetti, Favero, Di Prata ecc. Cassiere fu Tom Gatti. Lo statuto prevedeva soci professionisti, dilettanti, amatori, sostenitori, benemeriti e onorari. Nel 1961 per merito di Adriano Grasso Caprioli veniva rinnovata la galleria, inaugurata ufficialmente il 15 aprile 1962. Numerosissime le mostre allestite, cui si accompagnano serate culturali, attività assistenziali a soci bisognosi.
Ma l’associazione fu presto compromessa da individualismi, scontenti, rivalità e diffidenze per cui decadde nel 1954 per riprendere nel 1961 con programma sempre più impegnativo.
Presidenti: ing. Gian Battista Bignetti (1945-1946), Emilio Rizzi (1947-1948), ing. Mario Moretti (1949-1950), arch. Guido Marangoni (1951-1952), dott. Mario Panizza (1952), avv. Stefano Bazoli (1953), N. Fortunato Vicari (1954), Adriano Grasso Caprioli (1961-1962), arch. Luigi Fasser (1963-1965), ing. Lodovico Cargnoni (1966-1967), arch. Giacomo Mutti (1970-1971), Luigi Ghelfi (1971-1972), Pietro Cenedella (1972-1975), Valentino Zini (1976-1983), Giuseppe Rivadossi (1984-1992), Vasco Frati, in carica.
Vasta eco ha suscitato la battaglia sostenuta da Piero Cenedella per opporsi alla deliberazione che sottraeva all’Associazione al storica sede di via Gramsci. Battaglia che non ha impedito il trasferimento in Vicolo delle Stelle, in quella che era stata la Disciplina dei SS. Nazaro e Celso, risalente al 1498, irraggiata da affreschi del Romanino: prestigiosa sala, dunque, ma inadeguata a soddisfare le molteplici attività dell’A.A.B.
A dire le significative iniziative delle quali sono sufficienti le citazioni di maestri italiani e stranieri che vi sono stati accolti, oltre, naturalmente, a quelli locali, viventi e scomparsi.
Dei primi passi del sodalizio artistico testimonia il piccolo catalogo edito nel 1970 (3-22 ottobre) con la “Mostra postuma dei Soci”, ricorrendo il XXV di fondazione. Celebrandosi il mezzo secolo, nel 1995 è stato pubblicato un volume frutto di approfondita ricerca e proponente in modo esaustivo il percorso di una Istituzione idealmente coniugata alla Società per l’Arte in famiglia che l’ha preceduta.
BIBLIOGRAFIA
AA. VV., “Mostra postuma dei Soci”, Brescia, Galleria AAB, 3 - 22 settembre 1970.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
R. FERRARI, “L’Associazione Artisti Bresciani. Un difficile cammino nell’arte e nella cultura (1945-1995), Brescia, Grafo, 1995.
Capriolo, 24 agosto 1915.
Dal 1960 trasferito a Bergamo.
Precocissima la vocazione artistica, tanto che a soli tredici anni Assoni già frequenta la scuola d’arte “Andrea Fantoni”, a sedici l’Accademia Carrara di Bergamo e a diciannove l’Accademia di S. Luca a Roma. Dopo la parentesi militare è a Milano dove partecipa a diverse collettive di maestri del ‘900 italiano. In Bergamo allestisce numerose mostre personali. A Brescia è accolto dalla “Piccola Galleria U.C.A.I.” nel 1975, prima apparizione nella nostra città. La pittura di Assoni è retta da tecnica raffinata e tende a tradurre in emozione ogni aspetto di masse o di particolari architettonici, soprattutto della antichità. Noti i suoi portali, in cui i colori sbiaditi, i marmi corrosi e scolpiti, le luci e le ombre di aperture sono analizzati con partecipe attenzione e ricomposti nella tela con tale accuratezza da rasentare “il limite della realtà”. La minuzia esecutiva è palese atto di amore ed eleva l’esito pittorico a palpito lirico.
BIBLIOGRAFIA (bresciana)
“II Mostra sindacale di B.A.”, Brescia, 1934, Catalogo.
L. SPIAZZI, “Piccola galleria U.C.A.I.”, Brescia, febbraio 1975.
L. SPIAZZI, Arte in città, “Bresciaoggi”, 1 marzo 1975.
L. SPIAZZI, Arte in città, “Bresciaoggi”, 25 marzo 1978.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
Reggio Calabria, 1930.
Laureatosi in medicina all’età di ventidue anni, si è specializzato in cardiologia e medicina interna, venendo a esplicare la professione nel Bresciano: a Vestone dapprima, a Sirmione poi. Inizia l’attività pittorica nei primi anni Sessanta, ma quando espone la prima volta nella “Galleria del Cavalletto”, nel 1967, ha già raggiunto una notevole singolarità, esprimendosi a mezzo tra l’impressio-nismo astratto o l’informale materico. Di nota lirica, i suoi dipinti appaiono delicate visioni della natura colta nella solenne vastità, quasi da un elevato poggio, che consente di abbracciare i vasti piani e le sequenze grafico-luministiche che, tradotte nella tela, assumono preziosità di mosaico. Il progredire artistico dello Asteria è testimoniato dalle numerose mostre personali allestite in note Gallerie quali: Pater (Milano, 1967); Ghelfi (Verona, 1967 e ‘73); Cavallino (Venezia, 1968); Argentario (Trento, 1968 e 1970); Michelangelo (Firenze, 1968); Vismara (Milano, 1970); Stellara (Firenze, 1973); Tartaruga (Roma, 1974); Punto (Torino, 1975).
BIBLIOGRAFIA
E. PICCO, “Galleria d’arte Cavalletto”, Brescia, 5 marzo 1967.
E.C.S. (alvi), Mostre d’arte, “Giornale di Brescia”, 12 marzo 1967.
G. KAISSERLIAN, “Introduzione allo studio dell’opera di Nello Asteria”, Edizioni della Conchiglia, 1967.
“La strada”, febbraio 1967, ill.
C. MARSAN, “Galleria d’arte S. Michele”, Brescia, 8 marzo 1969.
Il catalogo reca i nomi di altri Autori per Asteria: F. Passoni, G. Pacher, L. Lambertini, S. Rinaldi, G. Stella, L. Spiazzi, A.M. Raina, D. Cara, T. Piazzolla, U. Benedetto, S. Sorbello, D. Zutelli.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.
ASTI GIOVANNI. Melzo, 7 gennaio 1881- Brescia, Il agosto 1954.
Giunto giovanissimo a Brescia, nella nostra città è ricordato come uomo riservato, quasi scontroso, all'apparenza, ma d'animo sensibilissimo. Frequentate le prime classi, avverte il desiderio di dedicarsi all'arte: con Francesco Gusmeri (v.) ha modo di affinare le innate doti prima di trasferisi a Torino per frequentare i corsi dell'Accademia Albertina, conclusi nel 1900 con una medaglia d'oro attribuita Il pensiero. Ha altresì modo di avvicinare Davide Calandra (v.) e Luigi Contratti (v.) operosi nel capoluogo piemontese, mentre con Angelo Zanelli (v.) sembra aver collaborato per la realizzazione dell'Altare della Patria in Roma.Da tempo opera autonomamente, tanto che fra le sue realizzazioni si possono ricordare il busto di G. Zanardelli (Iseo 1906) la lapide dedicata al garibaldino Cesare Scaluggia e solennemente inaugurata a Cailina nel 1910, presente G. C. Abba. Della serie delle opere pubbliche val citare i monumenti ai Caduti di Pontevico, Sale Marasino, Bedizzole, Gardone Val Trompia, Filadelfia Calabra, nel tempio della memoria in città, tomba Ducci Terinelli a Chiari, (1912) composizioni tutte caratterizzate da sintesi formale raggruppante le masse definite nello spazio. Nei ritratti, nelle figure di operai, di contadini si affermano le doti di plastico immediato, del verista attento anche ai fermenti sociali e capace di espressione sintetica, di penetrazione psicologica.
Così, accanto alle lapidi, alle targhe, ai bassorilievi portati a termine per la chiesa di S. Francesco di Paola, per la ricostruita diga del Gleno, per il vecchio Ospedale possiamo ricordare i ritratti numerosi e dedicati a Clemente Dugnani, alla medaglia d'oro Cicognini, al co: Annibale Calini, agli ingegneri Togni, Cacciatore, Franchi, a Tullio Bonizzardi, al comm. Wiihrer, al notaio Perugini, ai dottori Fender, Bonera, Ranzoli, De Lucchi, all'ing. Meroni di Soncino, a G. Pastori nella Scuola agraria. Nel 1945 Asti presiedette alla riunione che ha dato vita alla Associazione "Arte e cultura", divenuta poi "Associazione artisti bresciani". Con lui, al tavolo della presidenza, erano l'ing. Crespi, il dottor Enrico Roselli, gli scultori Botta, Mondinelli, Gatti e i pittori Rava, Marengoni, Marelli, i fratelli Mozzoni, Vincenzo Pini, Piero Galanti, Bruno degl'Innocenti, Emilio Rizzi ... mentre Tom Gatti fungeva da segretario e cassiere.
Testimonianza palese della stima e della fiducia riscossa nel campo artistico, con quel "gran cuore nobilissimo entro il fisico all'apparenza fragile, tant'era alto e secco", è la simpatia emersa nel 1948 quando gli è stata dedicata una vasta retrospettiva, a celebrare il suo cinquantesimo anno di vita artistica: la mostra, allestita nelle sale della vecchia Posta, ebbe risonanza non soltanto in città. Più delle nostre parole, riteniamo chairificatore quanto di Giovanni Asti ha scritto Enrico Ragni: le sue sculture, tenute ad una lunga osservazione, aumentano la sensazione senza esaurirne il contenuto o la durata, anche quando sono di un mordente realistico. Non è perfettamente conclusa l'opera che attrae e non trattiene; un'eccitazione estetica cade di fronte al pensiero. È facile "lustrare" sulle idee estetiche premesse, mentre non lo è crearsi un linguaggio che giace nei confini dell'arte e che fissa nella plastica una concreta forma. Si osservino dello scultore Asti i numerosi ritratti degli anni Venti, Trenta e Quaranta e si troverà in essi un modellato sodo e mosso, in scoperte e interpretazioni caratteristiche sorprendenti. È tale il convincimento della possessione dell'immagine, che l'artista aggetta e scava pronunciando in esagerazioni ragionevoli i vuoti e i pieni per mettere in luce quanto è naturalmente saliente. Quando modella il corpo di una fanciulla o la testa di un bimbo non resta alla esteriorità delle facili proporzioni fini a se stesse, ma mette, tema primo, il problema vitale deI soggetto; meglio dica si dei suoi ritratti sovente amplificati nella forma.
Poco prima di spegnersi, Giovanni Asti aveva affrontato un bassorilievo (incompiuto) da collocare nella nostra stazione ferroviaria. In una pausa del lavoro, mentre affacciato al balcone di casa attendeva il ritorno della moglie, fu colto da malore. Si distese sul letto, francescanamente, si assopì sorridendo pur dilaniato dall'improvviso male.
Una via nei pressi del Quartiere Lamarmora ne tramanda il nome.
Secolo XVIII.
Con Bassi, Bertelli, Zambonardi, Arici, dei quali non si conoscono i nomi di battesimo, è da annoverare fra quegli artefici fonditori argentieri che nel Settecento hanno contribuito ad arricchire il patrimonio artistico di chiese in Brescia e provincia. L'Astolfi è autore dell'ostensorio e di candelabri in S. Nazaro e di busti a S. Lorenzo (1762).
Secolo XVIII
Pittore e disegnatore. Autore con Francesco Giugno del soffitto nel Ridotto del Teatro Grande, in città, inaugurato nel 1772. Con lo Zucchi eseguì le incisioni del Panorama di Brescia (1751) fra cui una Fucina bresciana, la veduta del lato di mattina della Biblioteca Queriniana e del Corso del Teatro (ora Zanardelli) verso la fine del 1700.
BIBLIOGRAFIA
“Storia di Brescia” Vol. III. pp. 140, 275, 394 n. 3 (cfr.) A. Costa, ms. p. 63; Vol. IV, p. 164.
“Enciclopedia bresciana”, Ediz. La Voce del popolo.
R. LONATI, “Dizionario dei pittori bresciani”, Giorgio Zanolli Editore, 1984.