Brescia, 1938.
Vissuto per qualche tempo in Svizzera e Francia, ha conseguito il diploma di maestro d'arte, intraprendendo poi l'insegnamento in Istituto artistico cittadino. Fin dal primi anni Settanta è presente in collettive a carattere nazionale ed è invitato, per l'Italia, all'Esposizione Itinerante Italia-Giappone che ha tappa saliente nella capitale nipponica.
Personali ha ordinato a Brescia (1972, 73), Milano («Galleria La Cripta», 1973), Parigi (1973), Cremona (1976). L'esperienza dell'espatrio, dopo la giovinezza vissuta al margine della città, ha certamente influito la scelta, coraggiosa, d'essere operatore artistico. Singolare operazione che, fin dal primo apparire, addita nell'autore un testimone sensibile, attento della contemporaneità. Dai primi paesaggi, dalle nature morte, ai gabbiani, su su per giungere alla nota più conosciuta, v'è il rifiuto dell'aspetto contemplativo della natura, ma proposta di «un ordine e di un sentimento ben individuati nelle loro componenti e motivazioni». Nascono così i suoi grovigli opprimenti al pari dei condizionamenti che inghiottiscono come una palude. Come Luciano Spiazzi osserva, «non si creda tuttavia che l'universo di Piovani sia privo della propria interiore possibilità di catarsi: se la percezione del malessere quotidiano non ammette dubbi, altrettanto certa è la fiducia dell'artista in una capacità di liberazione verso la quale di necessità è tendere». Sono composizioni alle quali l'autore attribuisce significati esistenziali a volte, a volte emblematici; e se vi è chi nelle sue strutture ha ravvisato eco da Pollock per la ricerca di sensazioni pittoriche, se i «segni di Piovani - com'ebbe a dire Elda Fezzi - richiamano alla memoria certi aspetti dell'opera di Scanavino (ma anche dell'americano Tobey, del nostro De Luigi) la distribuzione diffusa del tratti di colori colma tutta la superficie con una rete a dlàspora ora più rada ora più fitta e prospetta una diversa costruzione ed un diverso rapporto tra noi e il panorama del mondo». Pur nelle ascendenze ricordate, deve quindi riconoscersi al nostro pittore di avere faticatamente perseguito un suo stile «in certo modo irripetibile».
Ma quel che più vale è l'aver saputo insinuare fra quel segni aggrovigliati, ma di una politezza formale esemplare, la impietosa immagine della morte, ma dolcissima nella sua traslocazione, la luce che significa slancio trascendente, dimensione di fede. In effetti, ci sembra ben chiarire ancora Elda Fezzi, la materia di segmenti colorati acquista una fermentazione ossessiva, intreccia una sarabanda da «horror ,vacui», satura lo spazio visivo di una tissurazioiie panica, come a riprodurre il crescere e svilupparsi di caotici assembramenti, di colonie batteriche. L'insieme si fa allusivo di spettacoli odierni... e non si esaurisce in stilemi e trova sottili intermittenze, ritmi, significati.
BIBLIOGRAFIA
L SPIAZZI, «Piccola galleria U.C.A.I.», Brescia, 13-25 gennaio 1973.
L. SPIAZZI, Arte, «La Voce del popolo», 19 gennaio 1973.
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L. SPIAZZI, Artisti Bresciani in Duomo i,e(-(-hio. «Bresciaoggi», 8 gennaio 1976. «Galleria Il Poliedro», Cremona, 18-30 settembre 1976.
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