Castenedolo, 27 novembre 1953.

Fin dalla giovane età si è cimentato con l’attività creativa attratto dalle “atmosfere particolari” del piccolo mondo locale, ritratto posando il cavalletto nel cuore dei luoghi che lo ispiravano. Ha frequentato poi la Scuola dell’Associazione Artisti Bresciani, affrontando nel 1976 il pubblico con una mostra personale ordinata presso la ormai scomparsa da tempo Galleria “Angelo Inganni” affacciata su corso Zanardelli.

È seguita una nutrita serie di partecipazioni a mostre collettive e personali che hanno proposto suoi dipinti in località provinciali e regionali. Fra le prime rassegne si trascelgono quelle del “Premio A. Bezzi” (1977), di Calvisano (1979), Boniprati, Iseo, Milano (1984), Rezzato (1987), Brescia ancora (2001, 02, 05), prescelto per partecipare alla antologia “Ricognizione” indetta dall’AAB, Montichiari (2001, 02, 05), Forte dei Marmi (2003), San Pellegrino Terme, Sondrio, Breno (2004, 05), Forlì, Rezzato, Viterbo (2003), Sarezzo, Salsomaggiore, Reggio Emilia (2005).

Ricorrenti pure le mostre personali prodotte nella già citata Galleria “Angelo Inganni” (1978), nella Galleria “La Pallata” (1980, 81), nella Piccola galleria UCAI (1986, 88, 2003), quindi a Manerba (2004, 05), Collebeato e Vallio Terme (2005).

A questo nutrito percorso espositivo hanno corrisposto vari premi e riconoscimenti, i più ambiti dei quali sono l’iscrizione all’Albo dei pittori di Roma e l’elezione a socio d’onore dell’Accademia del Fiorino di Prato.

Allontanatosi da tempo dalle suggestioni del paesaggio rurale con gli impulsi sentimentali derivanti dal contatto con la natura vissuta in gioventù, Filippini si è inoltrato nell’ambiente urbano, ricreato con una “stesura lenticolare”, il colore fatto poggiare su una base fortemente contrassegnata dalle linee di un disegno sovrano che non si estingue con anomalie luminose e che rifiuta la suggestione momentanea. Ecco allora il freddo lucore di ferrigne rotaie proiettate al lontano desolato complesso edificato, sovrastato da greve cielo; ecco il silenzio immoto di una pensilina ferroviaria o l’anonimo atrio d’ingresso d’una stazione con le rade figure volte all’inquieto, incerto futuro. A breve tratto di periferia, traversato da un sovrappasso, incuneato fra le superstiti chiome di alberature sofferenti, si alterna quella arida, percorsa da veicoli fra ineleganti edifici prodotti da un progresso opinabile… Una realtà che Filippini testimonia con una pittura estremamente dettagliata, contrassegnata da un puntiglioso equilibrio formale e lacerazioni visive provocate dalla civiltà industriale: aspetti tutti esplorati sfiorando il realismo esistenziale e non solo.

 

BIBLIOGRAFIA

M.B.C., Claudio Filippini e la frontiera del paesaggio, “STILE Arte” n. 72, ottobre 2003.

M.B.C., Claudio Filippini, vedute con aura metafisica, “STILE Arte” n. 82, giugno 2005.

 

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